Da bambino il regista ne era convinto, suo zio Massimo e Lucio Dalla si assomigliavano, anzi erano la stessa persona. Tutti e due bassi, pelosi, pieni di anelli e catene: ma soprattutto complicati, anomali, diversi. Ora che è adulto esplora quell’impossibile somiglianza, che gli aveva permesso di comprendere e abbracciare la disabilità di Massimo: tra la casa di Roma e quella al mare, Francesco filma la vita quotidiana dello zio, le sue rabbie, le sue manie, e i tratti più complessi, interessanti e difficili di Massimo vengono illuminati, riletti e reimmaginati, nelle immagini e nel voice-over del regista che le accompagna, proprio attraverso Lucio Dalla, le sue intuizioni, le sue canzoni, il suo essere al contempo disperato e giocoso, uomo e bambino.
Si intitola Quale allegria il documentario di Francesco Frisari, prodotto da Fantomatica in collaborazione con Rai Cinema che sarà presentato mercoledì 22 ottobre alle ore 21:00 al Supercinema di Santarcangelo (p.zza Marconi 1): un “documentario di osservazione e di immaginazione”, lo definisce il regista, frutto della decennale esplorazione del mondo di Massimo, fratello di sua mamma, con una grave disabilità cognitiva. Le riprese delle giornate di zio Massimo si alternano a immagini private d’archivio di Lucio Dalla, per lo più inedite, fornite da suoi collaboratori e amici storici come Stefano Cantaroni e Fabio Medda. Alle immagini si fondono il voice over dello stesso Frisari – un racconto che diventa il terzo protagonista della storia – e l’utilizzo narrativo delle canzoni di Dalla, concesse da Sony Music, Universal, Sony Publishing e Pendragon grazie alla collaborazione con la Fondazione Lucio Dalla, e di alcuni estratti da sue interviste e live, per dare vita a un documentario intimo e visionario, dove il regista si espone raccontando affetti e difficoltà e il rapporto della sua famiglia con la disabilità.
La sovrapposizione tra la figura di Massimo e quella di Lucio Dalla è stata da bambino, e continua a essere da adulto, la chiave per entrare nel mondo di suo zio, per dare forma a quell’universo fatto di contraddizioni, pensieri divergenti, manie e fissazioni che lo rendono diverso dal resto del mondo adulto che conosce. In Massimo, nei suoi giochi, nelle sue ossessioni, Francesco ritrova il Dalla che dice di vivere in uno strano presente e continuo déjà-vu, ciò che gli dà il senso delle giornate troppo uguali dello zio, dove il tempo si confonde fra percorsi obbligati, riti quotidiani, e le mille scatole di cartone che fa e disfa. Così, le rabbie improvvise di Massimo diventano i vocalizzi scat più furiosi di Dalla, fatti per dire quello che non si può con le parole, e trovano una dimensione nuova nel Dalla che parla e canta di solitudini, di gabbie e rabbie, e dell’enorme forza che occorre per camminarci attraverso. L’immagine di Dalla appeso a un albero mentre racconta delle sue venti ore a vedere la tv, gli fa capire perché lo zio si riempia la vita di radio e tv, che pure non gli riempiono mai la testa che continua a pensare e rimuginare. E Dalla che canta di «aver cercato per una vita senza trovare» l’allegria stessa e continua poi ancora a cercarla, così come ha fatto con la libertà, descrive probabilmente lo stesso cammino, sghembo e apparentemente incomprensibile, di Massimo.
“Mentre passo il tempo con mio zio Massimo c’è sempre una parte di me che lo osserva – dice il regista Francesco Frisari –. Conosco da sempre lui e i suoi riti, e però qualcosa rimane ancora misterioso, affascinante e difficile da capire. Questo modo di guardare è un modo di avvicinarmi a lui e insieme per fare un passo indietro, mettermi nella posizione dell’osservatore e anche prendere lo spazio per immaginare. Perché, forse sbagliando, nel guardare mio zio, le sue complessità e difficoltà, le sue voglie e impossibilità, ho spesso pensato di star guardando in un grande specchio. E allora in questo gioco di specchi ho chiamato Lucio Dalla, per dare un’altra voce a quel che vedevo, per aiutarmi a capire le forze di mio zio e il senso profondo dei suoi desideri e limiti. Questo film riprende quel modo di osservarlo e di immaginarlo, mettendo al centro la vita quotidiana di mio zio che ha qualcosa di straordinario, per conservare e provare a portare agli altri l’esperienza unica di conoscerlo e vivere con lui”.

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