Politica 14:52 | 08/11/2025 - Romagna

Potere al Popolo: "La Rimini dei padroni discute se stessa: profitti, lobby e nulla di nuovo"

“Follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.” Albert Einstein aveva ragione: eppure a Rimini, venerdì 24 ottobre, al convegno sull’abitare di ACER, la follia si è ripetuta. La città reale - lavoratori, giovani precari, anziani sfrattati - non era invitata. Al loro posto i protagonisti della tragedia urbana italiana e riminese: la classe politica che sequestra da anni la città; Confindustria e ANCE, che hanno aiutato nell’edificazione senza limiti, nello sblocco della rendita e nella privatizzazione dell’edilizia pubblica; CGIL-CISL-UIL, che hanno tollerato la speculazione immobiliare e l’housing sociale come soluzione “tecnica”; Legacoop e Confcooperative, che partecipano ai fondi immobiliari sociali accanto a banche e assicurazioni, gestendo la facciata sociale del processo. Insomma, l’ennesimo rituale di autolegittimazione della rendita.

L’uccisione dell’edilizia residenziale pubblica (ERP) è stata premeditata, in primis dal centro-sinistra. La legge 431 del 1998 ha liberalizzato gli affitti, smantellando progressivamente l’ERP e spalancando le porte a sfratti, precarietà e instabilità. In città turistiche come Rimini, bassi salari e margini turistici alti si sostengono anche sulla difficoltà di accedere a un tetto. Dietro la vetrina turistica si nasconde un processo di accumulazione per espropriazione: capitale immobiliare e turistico estraggono profitto dal suolo urbano, dal lavoro e dall’assenza di una politica pubblica dell’abitare.

Dentro questa crisi, si è imposto un inglesismo apparentemente neutro e progressista: “housing sociale”. In realtà, è la più vecchia delle truffe. Il Comune concede terreni e permessi, il privato costruisce e gestisce gli alloggi per un periodo a canone calmierato. Poi, scaduto il vincolo, gli immobili tornano al mercato, spesso venduti o riaffittati a prezzo pieno. Housing sociale significa profitto privato garantito, facciata sociale e impedimento alla vera edilizia pubblica. Chi ci vive non ha diritto stabile; rimane beneficiario temporaneo, controllato, escludibile.

Chi guadagna? Proprietari di seconde e terze case (spesso residenti altrove), agenzie immobiliari, catene alberghiere, fondi immobiliari e istituti di credito, e un’amministrazione comunale che preferisce incassare l’IMU piuttosto che costruire case popolari. Chi perde sono i lavoratori del turismo, della ristorazione e dei servizi, gli studenti, i giovani precari, le famiglie monoreddito e i migranti. La casa diventa leva di disciplinamento: chi non può vivere stabilmente accetta qualsiasi lavoro, salario e condizione, frammentando la classe lavoratrice.

E non è vero che “non ci sono soldi”. Sono solo sequestrati politicamente. Il Partito Democratico, vero amministratore delegato della città, gestisce Rimini come un feudo commissariato: ogni euro è destinato a consolidare il blocco sociale che lo sostiene, quello di costruttori, albergatori e fondazioni.

L’avanzo di bilancio del Comune supera i 160 milioni di euro, di cui oltre 21 milioni immediatamente spendibili, oltre a decine di milioni vincolati che possono essere rimodulati per edilizia pubblica e riuso abitativo. Per un piano ERP strategico, per l’acquisto e riuso di immobili esistenti e per l’edilizia pubblica si potrebbero trovare 10 milioni di euro domani.

Non è vero quindi che non ci sono risorse. E’ vero che si è scelto di non spenderle per case popolari, ma per altri capitoli: eventi, opere pubbliche d’immagine, rigenerazioni urbane orientate al turismo e propaganda in cemento. Ovvero, le priorità del Partito Democratico e dei suoi alleati.

La lotta per la casa passa anche per una battaglia di bilancio. Il bilancio è una legge politica: definisce chi conta e chi no, quali vite meritano investimento e quali possono aspettare. Ogni euro fermo in avanzo è un alloggio che non esiste, una famiglia che dorme in macchina, un lavoratore in ostello, un anziano sfrattato. 

La lotta per la casa è lotta per il potere nella città. Chi decide chi può vivere qui e a quali condizioni determina anche che tipo di lavoro, vita e comunità siano possibili. Rimini è spaccata in due: la città vetrina del PD, fatta di eventi, fiere e storytelling; e la città reale, dei lavoratori poveri, dei giovani precari, delle donne sole con figli, degli anziani sfrattati.

Noi rivendichiamo un principio semplice e radicale: la casa è un diritto, non una merce. Serve un piano ERP massiccio, diretto, stabile e partecipato, che sottragga potere alla rendita e lo restituisca a chi vive e lavora in città. Serve municipalizzare la rendita. Non ci interessano le rigenerazioni urbane di marca PD, che cacciano i poveri e abbelliscono le vetrine. Vogliamo rigenerazione sociale: riportare chi lavora e studia nei propri quartieri, ricostruire legami, redistribuire ricchezza e potere.

I nostri pilastri sono chiari:

1. Pubblico, non profitto: intervento diretto, comunale, senza intermediari;

2. Stabilità, non precarietà: diritto alla casa sicuro e duraturo;

3. Partecipazione popolare: gli assegnatari e le comunità devono avere voce nella gestione e nelle regole di convivenza;

4. Casa, lavoro, salario: il diritto all’abitare è inseparabile dalle condizioni materiali della vita: bassi salari e affitti e mutui troppo alti azzerano la libertà reale.

Costruire edilizia pubblica significa ricostruire sovranità popolare sul territorio, sottraendo pezzi di città alla logica della rendita e del profitto privato. La “sinistra” riformista ha abbandonato questa battaglia, preferendo che siano rendita e profitto privato a mediare i bisogni sociali. 

Noi no.

Per questo la nostra parola d’ordine non è “casa per tutti” nell’astratto, ma “case a chi lavora, non per chi specula”. Una città dove chi produce valore - lavoratori, studenti, migranti - abbia diritto a viverci con dignità.