In Italia, e anche a Rimini, il part-time è per le donne spesso una necessità, non una scelta. I dati lo dicono con chiarezza: il lavoro di cura, ancora oggi, pesa in maniera pressoché esclusiva sulle donne e condiziona la loro occupazione. Una donna su quattro ha un contratto part-time, e oltre l’11% lo subisce, non lo sceglie. Non è questione di competenze, ma di un sistema che penalizza chi deve conciliare lavoro e famiglia.
Il confronto con gli uomini è netto: il part-time involontario è triplo tra le donne (11,0% vs 3,1%), e la quota femminile di part-time sale al 28,7%, mentre quella maschile si ferma al 6,6%. Anche tra i lavoratori autonomi il divario resta: 4,2% delle donne contro 2,4% degli uomini.
Dietro questi numeri – presentati recentemente nel report “il mercato del lavoro in provincia di Rimini in un’ottica di genere” a cura a cura dell’Osservatorio del mercato del lavoro Agenzia regionale per il lavoro, regione Emilia-Romagna -c’è una realtà sociale che frena la piena occupazione femminile e che deve essere posta dal Governo al centro della sua agenda politica ed amministrativa.
Il tema dell’occupazione femminile non si risolve infatti senza affrontare un nodo politico ineludibile: i servizi di conciliazione vita-lavoro. Da anni lo Stato non garantisce risorse eque e uniformi ai Comuni, scaricando sulle amministrazioni locali l’onere di garantire diritti fondamentali con fondi propri.
Prendiamo il tempo pieno scolastico, assente o frammentario, che storicamente penalizza ingiustamente Rimini rispetto a province analoghe a livello territoriale, economico, sociale. È un ostacolo fuori dal tempo, che pesa sulle madri lavoratrici e le costringe a contratti instabili e part-time involontari, aggravando la spirale della diseguaglianza. Le mense non coperte dal tempo pieno statale, i nidi statali insufficienti(a cui il Comune di Rimini compensa da sempre con i propri) , le famiglie senza rete parentale: tutto concorre a rendere impossibile una piena partecipazione femminile al lavoro.
Il risultato? Penalizzazione contrattuale, salari ridotti, carriere rallentate e – come ha riportato in settimana Il Sole 24 Ore – una pensione inferiore del 34% rispetto agli uomini.
Non è più accettabile che il divario di genere sia il prodotto diretto di un sistema nazionale sbilanciato, a cui i Comuni rispondono in ordine sparso. Anche dove si interviene con coraggio –come a Rimini, con progetti innovativi, mense con fondi PNRR, doposcuola pomeridiani e tempo prolungato creativo realizzati grazie a scelte politiche e risorse del bilancio comunale – il rischio è che questi sforzi locali siano insostenibili nel tempo. Il Governo deve smettere di voltarsi dall’altra parte. La parità non si costruisce con retorica, ma con risorse, infrastrutture e scelte politiche nette. I Comuni hanno già dimostrato di sapere fare la loro parte. Ora tocca al Governo.